L'installazione di un impianto di videosorveglianza senza il preventivo accordo sindacale (o senza l'autorizzazione amministrativa equivalente) e' un reato penale, anche se i singoli lavoratori hanno acconsentito all'utilizzo di tale apparecchio. Con questa decisione la Cassazione penale (sentenza 22148/2017 , depositata ieri) cambia il proprio indirizzo interpretativo in materia di controllo a distanza dei lavoratori. La
titolare di un negozio ha deciso di installare all'interno del punto
vendita due telecamere, collegate via wi-fi a un monitor, mediante le
quali era possibile controllare l'attivita' lavorativa dei dipendenti.
Queste telecamere sono state installate senza aver raggiunto alcun
accordo con il sindacato, e senza aver richiesto l'autorizzazione della
direzione territoriale del lavoro. La
titolare del negozio e' stata condannata a una pena pecuniaria (ammenda
di 600 euro) per il reato previsto dallo statuto dei lavoratori. Il
datore di lavoro ha impugnato la decisione, invocando quell'orientamento
giurisprudenziale che esclude la ricorrenza del reato ogni volta che,
pur non avendo raggiunto un accordo sindacale, il datore di lavoro
installa gli impianti di controllo a distanza chiedendo il consenso
preventivo a tutti i dipendenti (Cassazione, sentenza 22611/2012 ). Secondo
questo orientamento precedente, sarebbe illogico negare validita' al
consenso espresso in maniera chiara e univoca da tutti i lavoratori, in
quanto l'esistenza di un accordo con i soggetti titolari del bene
giuridico che la norma di legge intende proteggere esclude per
definizione la sussistenza di un illecito. La
Cassazione, con la decisione odierna, rovescia questa impostazione,
partendo dalla considerazione che il bene giuridico protetto dall'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori
ha natura collettiva e non individuale (nonostante ci sia una
interferenza tra i due piani), in quanto i singoli lavoratori non hanno
sufficiente forza per negoziare con il datore di lavoro in posizione
paritaria. Pertanto, il datore di lavoro che
installa un impianto di controllo a distanza senza ricercare e ottenere
l'accordo sindacale con le rappresentanze aziendali (o, in mancanza,
senza chiedere l'autorizzazione all'autorita' amministrativa competente)
danneggia gli interessi collettivi di cui sono titolari e portatrici le
rappresentanze sindacali. Il comportamento
del datore di lavoro, prosegue la sentenza, non integra solo un reato
penale, ma anche la fattispecie della condotta antisindacale,
suscettibile di essere repressa con la procedura speciale disciplinata
dall'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori . Inoltre
la Corte ricorda che lo stesso Garante della privacy ha piu' volte
ritenuto illecito il trattamento dei dati personali effettuato tramite
sistemi di videosorveglianza installati senza il rispetto dei vincoli
procedurali previsti dall'articolo 4 dello Statuto, nonostante
l'eventuale consenso dei singoli lavoratori. La
sentenza, infine, osserva che tali considerazioni valgono sia per la
versione dell'articolo 4 antecedente al Jobs act, sia per il testo
risultante dalle modifiche apportate con il Dlgs 151/2015, in quanto
entrambe le norme continuano a richiedere, fatti salvi casi particolari,
l'accordo sindacale o l'autorizzazione amministrativa per
l'installazione di strumenti di controllo a distanza. Questa
sentenza potrebbe trovare conferma nelle decisioni future della Corte
oppure, come accade spesso, i giudici di legittimita' potrebbero
spaccarsi, dando luogo a pronunce contrastanti; in tal caso, sarebbe
necessario l'intervento delle Sezioni unite per definire un indirizzo
comune sulla materia.