La temporanea inattivita' e' lavoro e va computata e retribuita secondo legge. Infatti, pur restando inoperoso, il lavoratore e' obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza lavoro per ogni richiesta o necessita' del datore di lavoro. A stabilirlo e' la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24828 depositata lo scorso 9 ottobre nella quale sono stati riepilogati principi e norme in materia di orario di lavoro e periodi di riposo. L'ordinanza della Suprema Corte ha cosi' obbligato un'impresa elettromeccanica a pagare oltre 90mila euro di differenze retributive a un addetto alla sostituzione di lampade della pubblica illuminazione che svolgeva lavoro discontinuo, utilizzando un automezzo custodito presso il proprio domicilio e senza obbligo di passare dalla sede aziendale. Nella pronuncia la Corte ha messo in luce che la retribuzione deve corrispondere all'intera durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative. Infatti, le norme sull'orario di lavoro di cui al D.Lgs. n. 66/2003, art. 1, comma 2, lett. a), in attuazione della Direttiva 93/104/CEE, attribuiscono rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva, ma a qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio delle sue funzioni. Anche alla luce di un orientamento giurisprudenziale consolidato, e' dunque computabile nell'orario di lavoro la temporanea inattivita' tipica del lavoro discontinuo nella quale, pur rimanendo inoperoso, il lavoratore e' tenuto ad essere disponibile per ogni richiesta o necessita', a differenza del riposo intermedio nel quale invece puo' disporre liberamente del proprio tempo. Inoltre, la retribuzione matura anche nel periodo necessario a raggiungere il luogo di lavoro se lo spostamento e' funzionale allo svolgimento delle proprie attivita'.